“Dopo il periodo delle Cancellate, dove privilegiavo la grafia sul colore e dove mi interessava in qualche modo una specie di iconizzazione del mio pensiero, scelsi il titolo “Storie del ferro”, che chiamo appunto “Cancellate”, ma il vero titolo sarebbe stato “Storie di un ferro”, una metafora per indicare un percorso mentale che, attraverso il materiale, si inseriva in una immagine compatta come quella di una cancellata.
Dopo avere visto la mostra di Kline alla Tartaruga, dalla quale rimasi molto impressionato, iniziai una serie di pitture gestuali dove privilegiavo un segno-struttura, le chiamo strutture o segni strutturali, questo avviene dopo le “Cancellate” e dopo i “Racconti” dove, in qualche modo, era ancora presente la suggestione di un certo informale, ma non ho mai raccolto il lato caduco, il lato precipitante dell’informale, ho sempre cercato di strutturare le mie immagini, anche quando erano come delle colature di materiale a perdere” (cfr. A. C. Quintavalle, G. Bianchino, Gastone Biggi. Catalogo ragionato dei dipinti. Tomo primo, Skira, Milano 2018, p. 44).
Per Gastone Biggi il periodo attorno al 1957 – 1958 è particolarmente intenso poiché raccoglie nella sua pittura gli stimoli informali provenienti dalle esperienze internazionali: il figurativo è superato ma allo stesso tempo l’informale è applicato con misura, creando composizioni evocative di una realtà “latente”. Lo sforzo di Biggi era rivolto, infatti, a generare una personale soluzione che non fosse solo gesto pittorico, solo astrazione, solo espressione: ecco quindi le tele costruite su velature di grigi, neri e bianchi dove fanno capolino pochissimi colori come il rosso e il blu e dove la composizione si regge su un difficilissimo equilibrio tra significante e significato.