C’era una volta a Milano, in una stretta via situata tra il Conservatorio e il Tribunale (via Chiossetto) lo studio di un grande artista che aveva fatto della ceramica il suo medium prediletto: Giuseppe Rossicone aveva qui, in un seminterrato, la sua “bottega”, da intendersi nel senso più rinascimentale del termine. Nato a Scanno, in Abruzzo, si era presentato al pubblico lombardo nel 1961 con una mostra personale alla Villa Reale di Monza, ottenendo grande interessamento, sia dal pubblico che dalla critica, che gli riservò ampio spazio in giornali e riviste di riferimento. Quello che fece del suo studio una fucina “rinascimentale”, non fu però solo la sua indiscussa bravura nel trattare una materia così duttile come l’argilla, ma fu soprattutto la grande commistione di forze artistiche che presero rifugio lì dentro: molti artisti suoi contemporanei, infatti, decisero di rivolgersi a lui per dare vita alla loro personale interpretazione della materia argillosa, così particolare nei modi e nelle tecniche di lavorazione. Entrando negli stretti spazi dello studio era possibile incrociare i grandi artisti dell’Italia del Dopoguerra come Cassinari, Cascella, Fiume e poi ancora Pomodoro o Remo Brindisi, immersi a loro volta tra gli affollatissimi scaffali piegati dal peso di altre opere già pronte di altri grandi colleghi. Rossicone, come Mazzotti ad Albisola, riuscì ben presto a diventare un punto di riferimento per la ceramica contemporanea e mantenne questo primato fino alla fine, continuando ad accogliere con un sorriso gentile chi passava per il suo studio. Grande lavoratore, attento al dettaglio ed umile nei modi, seppe ben dosare la tecnica e l’estro artistico riuscendo a portare la sintonia in uno dei processi più intimi che possano esserci tra due persone, ovvero la creazione di un’opera d’arte. Così come nella danza due ballerini che improvvisano devono aprirsi totalmente all’ascolto delle tacite intenzioni dell’altro per dare vita a qualcosa di nuovo dove albergano entrambi, così due artisti che collaborano devono coltivare quella tacita intesa che possa far parlare la grandiosità del frutto della loro ricerca. Con Rossicone questo fu possibile, incessantemente per più di trenta anni, fino al giorno della sua scomparsa avvenuta nel 2023. L’artista abruzzese ebbe inoltre la capacità di mantenere sempre vivace la propria personale ricerca artistica creando opere dal carattere estremamente preciso e coerente, la cui cifra stilistica è estremamente riconoscibile: le forme astratte che evocano un sentimento primitivo, le superfici pienamente materiche dove le increspature dell’argilla sono rese evidenti dalla pastosità dello smalto, il colore (definito da Brindisi “un azzurino ferrigno” ) che ricorda le patine create dal tempo sui metalli e che conferisce alle sculture un sapore universale.