TANCREDI PARMEGGIANI (Feltre 1927 – Roma 1964)
Nato a Feltre nel 1927, in seguito alla scomparsa precoce di entrambi i genitori fu affidato alle cure, insieme ai fratelli, del cugino Ettore Pietriboni. Quest’ultimo iscrisse i due maschi al liceo classico di Belluno, dove Tancredi non si fermò a lungo: gli stessi insegnanti infatti consigliarono al cugino, visto lo scarso rendimento del ragazzo, di assecondare la passione per il disegno ed iscriverlo al liceo artistico di Venezia. Nel 1946 si iscrisse anche alla Scuola Libera del Nudo dell’Accademia d’arte di Venezia dove fece la conoscenza di artisti come Virgilio Guidi ed Emilio Vedova, che peraltro aveva già conosciuto durante gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale fra le fila dei partigiani. Nel 1948 ebbe l’occasione di visitare la prima Biennale di Venezia allestita dopo la Seconda Guerra Mondiale: fu per gli artisti della sua generazione una grandissima occasione di confronto con le avanguardie artistiche mondiali che fino a quel momento erano sembrate estremamente lontane agli artisti che erano rimasti in patria. Nel corso di tale manifestazione ebbe l’occasione anche di ammirare parte della collezione di Peggy Guggenheim, la quale divenne ben presto una delle figure chiave della promozione delle opere dell’artista sia in Italia che all’Estero: la collezionista, oltre a fornirgli uno studio, organizzò una campagna di donazioni di opere d’arte di Tancredi nei più famosi musei mondiali tra cui il Moma di New York. Altri due luoghi importanti per la formazione dell’artista furono la galleria del Cavallino di Venezia e quella del Naviglio, guidate dai fratelli Cardazzo, dove entrò in contatto con i primi esperimenti spaziali di artisti come Roberto Crippa, Gianni Dova e Mario Deluigi; nel 1952 ormai pienamente inserito all’interno di questa nuova proposta artistica, sottoscrisse il “Manifesto del movimento spaziale per la televisione”. A queste date il percorso dell’artista è ormai saldamente ancorato a una radicale astrazione, affidata ora alla gestualità convulsa di una scrittura di segni rapidi e infinitesimali, irradianti nello spazio dipinto da cosmogonie, costellazioni, contrazioni, deflagrazioni, espansioni, ora alla tessitura di orditi più o meno regolari saturanti la superficie della tela, in cui la traccia di fondo va individuata nell’interesse dell’artista per le ‘griglie’ di Piet Mondrian: composizioni dinamiche, animate da una stesura convulsa e accidentata e dal ricorso a cromie primarie o a una materia pastosa affastellata in tarsie rettangolari, su cui sembra innestarsi una doppia memoria, quella delle tessere dei mosaici veneziani e quella dei neoimpressionisti francesi e dei divisionisti italiani (cfr. Dalai Emiliani, 1996, I, p. 51). Tancredi oramai si poteva considerare uno degli artisti più affermati della sua epoca e forse fu anche questa una delle componenti che lo portarono precipitosamente a continui esaurimenti nervosi e crisi umorali: la grande sensibilità dell’artista in contrapposizione con l’enorme esposizione mediatica minò ferocemente i nervi di costui, che dopo un periodo di apparente ritrovata serenità, decise di suicidarsi buttandosi nelle acque del Tevere, proprio nei giorni del suo trentottesimo compleanno.