“Da ragazzo correvo in bicicletta. Era la mia stagione eroica, adoravo il fruscio delle gomme leggere sull’asfalto, l’odore acre di fumo, di bagnato, di terra che assorbivo, la testa incassata nelle spalle, chino sul manubrio attraverso i paesi, le campagne, gli acciottolati sconnessi di volata. Le salite allora erano polverose ed estenuanti sotto il sole. Solo chi ha lungamente lottato sulle strade può comprenderne tutta la poesia” (testo tratto dalla rivista “Le Arti”, n. 1bis, febbraio 1966).
Il ciclismo fu per Sassu una passione coltivata sin dalla gioventù, dilettandosi lui stesso come corridore: le corse in bici lo affascinavano sia per la dinamicità del gesto che per la metafora che queste potevano avere in relazione con la vita umana. Il continuo mutare del percorso, infatti, poteva ricordare l’imprevedibilità delle vicende umane e la fatica fisica provata nel superare una salita, poteva simboleggiare gli sforzi operati ogni giorno per raggiungere i propri obbiettivi. Questo soggetto, quindi, viene affrontato più volte a partire dal 1929 sia in dipinti che in sculture e proprio nel 1957 (anno di realizzazione del presente dipinto) anche in affreschi: durante questo anno, infatti, venne realizzato ad Arcumeggia un maestoso affresco che propone un gruppo di ciclisti in uscita da una grande curva dove chiaramente si distinguono i volti di Gino Bartali, Alfredo Binda, Fausto Coppi e Diego Ronchini. Nella tela presentata l’accento invece è posto non tanto sulla caratterizzazione dell’atleta, quanto sulla sensazione della fatica e della velocità: parafrasando le parole dello stesso Sassu, ecco che la testa si incassa tra le spalle e il corpo si piega sul manubrio sotto il sole cocente che rende tutti i colori brillanti e caldi.