Per porci correttamente davanti quest’opera dobbiamo fare quello che faremmo dinnanzi ad un cielo stellato: dobbiamo pian piano abituare gli occhi all’oscurità, rendendo possibile lo spettacolo degli infiniti astri che costellano il cielo notturno. Nella porzione di volta celeste protagonista di questa tela, guardando con attenzione, affiorano dall’atmosfera cinque costellazioni formate da astri più o meno brillanti, collegati da sottilissime linee. Cosa tracciano quegli impalpabili filamenti? Se ci si concentra ancora di più si rivelerà agli occhi, ormai pronti, un prezioso segreto: la parola “cielo” affiora dalle tenebre, mettendo finalmente ordine nel pulviscolo spaziale. Ora l’acuto osservatore potrà cogliere l’ennesimo sforzo compiuto dal maestro Tornquist: le stelle non sono rese con semplici tocchi monocromi ma sono formate da aloni di colori azzurrini e bianchi quasi a tentare ad ogni costo di voler riprodurre sulla tela l’essenza stessa della luce. Tornquist, infatti, nelle tele di questo periodo condensa tutte le ricerche sia scientifiche che artistiche che ha compiuto fino ad ora riguardo il colore, la luce e la percezione dell’uomo nei confronti del mondo. La tela presentata, sembra richiamare, inoltre, un’altra opera molto amata dal mastro, ovvero “Quadrato nero” di Kazimir Malevič: così come nell’opera dell’artista russo vi albergano “il tutto” e “il niente”, così nel quadrato di Tornquist il vuoto cosmico si fa denso, come dimostrato dalla luce degli astri e delle galassie lontane che lo attraversano, racchiudendo in quel baluginante chiarore “il tutto” di universi interi.