PAOLO BARATELLA (Bologna 1935)

Nato a Bologna nel 1935, trascorre nella città felsinea i primi cinque anni della sua vita, per poi trasferirsi nella città natale dei genitori, Ferrara. Sin da piccolo dimostra una spiccata propensione per il gesto artistico che diventa ragione di vita e tema centrale, non prevedendo altri futuri possibili al di fuori dell’arte. L’infanzia e l’adolescenza del maestro però non furono solo esercizio pittorico, bensì vennero inevitabilmente travolte dagli orrori della guerra, dal fascismo, dall’eco delle atrocità del nazismo da cui nel 1954/55 il maestro stesso cercò di prendere le distanze, andando a dipingere sull’isola di Procida. Le voci e le grida della realtà non tardarono ad insinuarsi anche nell’isola, e Baratella, così, ritornò dapprima a Ferrara, per poi trasferirsi a Milano. Lì la gran moda in quel periodo era la pittura informale di cui il maestro accolse la sfida, provando a cimentarsi con quei colori sulla tela, stesi ad evocare qualcosa: il concetto non bastava, il segno non bastava, in qualche modo, infatti, il pittore sentiva il bisogno di utilizzare comunque la figurazione, sicuramente attualizzata e arricchita dalla contemporaneità degli eventi. L’opera che concretizzò tutte queste necessità non tardò ad arrivare: nel 1963 infatti vinse il primo premio della Biennale Sacra di Bologna presentando un trittico dal titolo “Ante Lucem” dove era rappresentato una sorta di percorso il cui vertice era un campo di concentramento.

Neanche Milano bastava più ora, ci volevano città dove il tema sociale e la politica fossero pane quotidiano come Parigi e Berlino, anche perché soprattutto all’inizio, di pane, quello vero da mettere sotto i denti, non ce ne era molto. Gli anni Sessanta e Settanta furono anni appassionati e passionali dove la funzione stessa dell’arte venne messa in discussione e dove, attraverso la stessa, si aveva la possibilità di riflettere su temi fino ad ora mai contestati e confutati: non è un caso che nel 1972 il maestro venne invitato ad esporre a Parigi in una mostra contro il razzismo, proponendo un’opera dal forte impatto, dove figuravano una bandiera americana, un uomo di colore e la scritta “Dio è più bianco”. Il dipinto ebbe un destino infausto ed infatti venne fatto sequestrare e successivamente distrutto.

Evidentemente neanche la società parigina così legata alla “Liberté, Égalité, Fraternité” era pronta a vedere la forza della contestazione anche nell’arte: una cosa era certa, l’opera era riuscita a comunicare in un modo talmente efficace da turbare.

I suoi cicli più significativi sono:

Cronaca di un mal di testa (1968)

Come se mi alzassi e prendessi coscienza (1971)

Vita morte e miracoli di Joe Ditale (1974)

Toccata e fuga da/per il potere (1977)

 Bach Hotel (1980),

 Il 1984 & l‘officina ferrarese (1983)

 Oh specchio delle mie brame! (1985)

 Nel fertile abisso del buco nero (1986)

Orfeo/Euridice (1987)

 Zarathustra: il viaggio di ritorno (1988)

La parte mancante (1989/90)

Fuga della scuola di Atene (1992)

Achille e la tartaruga (1999)

 Nemici (2000/2003)